Type | Journal Article - Macrame |
Title | Tre visite alla medina di Fes: 2001, 2008, 2030 |
Author(s) | |
Volume | 3 |
Issue | 2 |
Publication (Day/Month/Year) | 2009 |
Page numbers | 121-128 |
URL | http://www.fupress.net/index.php/mac/article/view/3200 |
Abstract | Soltanto una decina di anni fa, l’europeo che arrivava in pullman a Fes scendeva nello slargo davanti la porta di Bab al-Mahrouq: ne riceveva la limpida sensazione di compiere un balzo indietro di secoli. Contribuivano a quella le merlature islamizzanti delle possenti mura, l’arcata ogivale attraversata da merci a dorso d’asino, le donne sedute in terra a vendere piccole quantità di ortaggi su un telo steso per proteggerli da polvere e liquami. All’interno, la medina: trecentosettanta ettari di compatta massa edificata e quasi indifferenziata, distesa nella vallata dello Oued Boukhrareb con le sottili e ramificate incisioni della rete viaria ad identificare, se possibile, il modello della città arabo-islamica. Nel 1999 il documento programmatico per la riabilitazione e la pianificazione della medina dell’Agence Urbaine et de Sauvegarde de Fès1 ne riassumeva i caratteri in cinque punti: separazione degli spazi pubblici e domestici; architetture arabo-mediterranee; organizzazione cellulare del tessuto urbano; organizzazione degli spazi, commerci e servizi a partire dall’elemento centrale della moschea; concezione introversa della casa aperta su patio, con muri ciechi sulle vie. Qualche albergo per backpackers all’ingresso di Bab Boujoulud, poi la discesa vorticosa tra la folla mai immota di Talaa’ kebira e Talaa’ sghira, le principali direttrici della medina, fino all’enorme cuore della moschea al-Qaraouiyyin. Intorno solo suq, caravanserragli, artigiani ed abitazioni, e si restava immersi nella consapevolezza di essere stranieri, marrani, al massimo turisti abbordati dalle false guide. |
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